Ma poi l’idea di questa
mostra favolosa,
composta da 80
capolavori della pittura
europea e americana del
XIX e del XX secolo
provenienti dai musei di
tutto il mondo, origina
dal riconoscere la
centralità della figura
di Vincent van Gogh
nell’arte dei due secoli
considerati. Attorno a
questo fuoco che
continua a bruciare, si
è venuta appunto
sviluppando quella
straordinaria avventura
del viaggio che è il
senso vero e profondo
dell’esposizione.
Il
viaggio da un luogo
verso un altro luogo
– dunque gli spazi
evocati nel
sottotitolo – e il
viaggio dentro se
stessi. Van Gogh li
esprime benissimo
entrambi, unendoli
così nella sua
opera. Ed è per
questo che
addirittura
trentacinque sue
opere fondamentali
(venticinque dipinti
e dieci disegni)
quasi interamente
prestate dal Van
Gogh Museum di
Amsterdam e dal
Kröller-Müller
Museum di Otterlo,
saranno il cuore e
il nucleo di questa
eccezionale
esposizione
genovese, nel
passaggio dal buio
degli interni
olandesi alla
lucentezza quasi
insopportabile del
sole del Sud. E se è
vero che Van Gogh ha
cercato in
nessun’altra
immagine più che in
quella di se stesso
questa fusione tra
ciò che è dentro e
ciò che è fuori, non
poteva che essere il
celeberrimo
Autoritratto
al cavalletto,
dipinto nel 1888 ed
eccezionalmente
prestato per questa
occasione dal Van
Gogh Museum, la
sintesi estrema e
perfetta di questa
tensione irrisolta
tra il viaggio che
conduce e il viaggio
che sigilla. Non a
caso questo quadro,
da solo ed emergente
dal buio, sarà
collocato nella
penultima sala della
mostra, la cappella
dogale, come sigillo
prima che giunga
l'immagine finale di
un covone sorvolato
dai corvi, il volo
verso i territori di
un viaggio
apparentemente senza
ritorno. Il
Covone
sotto un cielo
nuvoloso,
dipinto ad Auvers
solo tre settimane
prima di morire,
sarà per la prima
volta esposto al
pubblico dopo oltre
quaranta anni ed è
un altro dei frutti
straordinari che
nascono nel giardino
di questa mostra.
Cui si aggiungono,
per esempio, alcune
delle lettere
originali scritte da
Van Gogh al fratello
Theo e collegate ai
quadri esposti a
Palazzo Ducale.
Brandelli di carta,
quasi santini
devozionali, che
esposti in una sala
immersa nel buio non
mancheranno di
suscitare la più
grande emozione.
Dunque al centro
starà Van Gogh con
tanti veri
capolavori, tra i
quali è impossibile
non ricordare anche
la più celebre
versione del Seminatore dipinta
ad Arles nel giugno
del 1888. Ma anche
quell’altro quadro
famoso, e simbolico
quant’altri mai in
questa mostra
dedicata al tema del
viaggio, con le Scarpe di
Van Gogh.
E prima e poi si
svilupperanno due
sezioni, l’una
dedicata alla
pittura americana e
l’altra alla pittura
europea.
Dapprima
dunque la pittura
americana del XIX
secolo, pittura che
è anche vera e
propria esplorazione
di territori
sconosciuti,
enunciazione di uno
spazio che si
identifica con una
nazione nuova. Due
pittori soltanto a
rappresentare questo
anelito, questo
pathos,
questa forza
primordiale che
autorizza il viaggio
verso l’ignoto di un
luogo che si
desidera incontrare
e quasi abbracciare.
Se questo abbraccio
non fosse quasi
esagerato per la sua
dimensione. Edwin
Church, il pittore
dell’Est, della
valle del Hudson,
della costa del
Maine, e poi Albert
Bierstadt, il
pittore dell’Ovest,
della scoperta di
Yellowstone e di
Yosemite.
E con un salto di
qualche anno, il
viaggio sulle rive
dell’Oceano
Atlantico, e
precisamente a
Prout’s Neck lungo
la stessa costa del
Maine, di Winslow
Homer. A cavallo dei
due secoli, Homer
conclude il suo
viaggio nella
solitudine di acque
tempestose, nel buio
di un gorgo che si
specchia contro la
nera nuvolaglia del
cielo. Quella stessa
costa del Maine che
anche uno
straordinario
pittore come Andrew
Wyeth racconterà per
tutta la seconda
metà del XX secolo
raccogliendo la
tradizione
figurativa oltre che
di Homer anche di
Edward Hopper, colui
che ha saputo
isolare il senso del
viaggio nella
provincia americana
all’interno di una
muta sillaba, di un
impressionante
silenzio. Che ha
saputo altresì
isolare il senso del
viaggio interiore in
alcune sue
celeberrime figure
pensose e mute.
Da certe anse di
buio e notte di
Hopper, la mostra
ripartirà per
indicare le
superfici quasi
monocrome di Mark
Rothko, per uno dei
viaggi
nell’interiorità più
straordinari che la
storia della pittura
ricordi. Viaggio che
sente le profondità
del territorio e
delle acque e tutto
trasforma in lividi
accenni d’onda. Ma
che vivrà anche
nell’esaltante
confronto, fianco a
fianco sulla parete,
tra i neri e le
terre di Rothko
stesso e le marine
quasi identiche di
Turner un secolo e
mezzo prima. E poi
mareggiate che
Richard Diebenkorn
rovescia nei suoi
fulminanti Ocean
Parks, guardando
da una finestra alta
sul Pacifico il
trafficato scorrere
dei fili
dell’elettricità.
E se qui si chiuderà
la sezione
americana, quella
dedicata alla
pittura europea
partirà dal viaggio
della mente davanti
all’infinito di
Caspar David
Friedrich, una
piccola barca che va
nella nebbia e si
dirige. Mentre
William Turner si
confonde – materia
nella materia,
colore nel colore,
cenere nella cenere,
acqua nell’acqua,
fuoco nel fuoco,
pittura nella
pittura – nel gorgo
di un viaggio che
sposa la potenza
degli elementi.
Il
viaggio di Paul
Gauguin sarà agli
antipodi, e il
grande quadro lo
rappresenterà tutto,
isolato nella
penombra di una
vasta sala dove avrà
tutta l'attenzione,
sola luce,
concentrata su di
sé, mentre immagini
proiettate sulle
pareti, e musiche,
diranno di quel
sentimento pieno e
caldo, nostalgico e
forte. Poi il
viaggio di Claude
Monet sarà nel
recinto protetto del
giardino di Giverny,
nella fioritura
delle ninfee come
ghirlande. Il
viaggio di Monet è
dentro la luce che
tocca l’occhio e
rivela i colori, ne
autorizza la
dissolvenza.
Poi ancora il
viaggio mentale di
Wassily Kandinsky,
quel viaggio che ha
a che fare
quotidianamente con
la visione
accidentata,
talvolta persino
malata, che si
costruisce nella
forma che genera
sogni e incanti,
tremori e memorie.
Viaggio che è cosa
prettamente legata
alla cultura europea
della prima metà del
XX secolo. E che a
metà di quel secolo,
in una sorta di
epico, e anche
tragico, parallelo
con Rothko, vede
sulla scena il
percorso straziato
di Nicolas de Staël,
dai muri calcinati
di Agrigento, alle
figure davanti al
mare fino agli
strapiombi di
Antibes, alti sul
cielo violato dai
gabbiani.
Ma nel mezzo,
monumentale e
tragico, accidentato
e splendente, Van
Gogh continua a
giganteggiare, con i
suoi campi di grano
sorvolati dai corvi
o con le fioriture
gentili nei parchi.
Van Gogh che è il
cuore e l’anima di
questa mostra
straordinaria, che
per questo ne
allinea tanti e
motivati dipinti.
Genova
incredibilmente avrà
una sublime mostra
dei capolavori di
Van Gogh. L'epocale
prestito del Da
dove veniamo? Chi
siamo? Dove andiamo? di
Gauguin. E accanto a
essi tanti altri
capolavori da Hopper
a Kandinsky.