Prendono il volo i corvi neri del "Campo di grano", dell’ultimo dipinto che ha realizzato. Si accendono le luci nella "Notte stellata", ad illuminare il manicomio di Saint Remy, che ben conosceva. Vivono di Van Gogh le pareti della Frabbrica del Vapore di Milano che fino al prossimo marzo ospita quella che è stata chiamata "un'esperienza visiva". “Van Gogh Alive”, questo è il nome del progetto australiano che arriva ora in Italia dopo aver circuitato in altre capitali. Proiezioni gigantesche mostrano i dipinti del grande maestro olandese, divisi per tematiche, con rare animazioni e colonna sonora. Non ci sono opere in mostra. Nessun disegno, nessun dipinto, solo riproduzioni in dimensioni alterate.
La cultura pop si è impossessata delle forme, dei colori delle composizioni di Van Gogh e inebria la vista, creando una scenografia molto suggestiva e godibile perché in continuo movimento. Spettacolo, intrattenimento o cultura? L’abbiamo chiesto al curatore Fabio Di Gioia.
“Qualcuno ha scritto che è un Van Gogh senza Van Gogh, è come se si guardasse un catalogo della mostra dopo averla vista e si dicesse che l’autore non c’è, ci sono solo le foto. Questa è un’esperienza viva.
Si è cercato di restituire la potenza di Van Gogh in grandi dimensioni, cercando di esplorare quella che è poi la dimensione nostra, del nostro animo umano, che si emoziona vedendo certe cose. Questo valeva la pena di farlo partendo da opere straordinarie, suggestive, create da un artista molto amato e tormentato, morto poverissimo suicida, e che vende ancora nel mondo, ad aste, raggiungendo cifre record”.
Senza dubbio l’operazione permette di entrare nel mondo di Van Gogh attraverso una dimensione multimediale sostenuta da una sofisticatissima tecnologia, che solo qualche anno fa non sarebbe stato possibile concepire. Riletture simili sono state già fatte, anche da grandi artisti, come la scomposizione visiva realizzata da Peter Greenaway de "L’ultima cena" di Leonardo, o "Le nozze di Cana" di Paolo Veronese scomposta e ridipinta, in una mostra itinerante di qualche anno fa.
“L’uomo va avanti progredisce e cerca di fare cose nuove" – continua a spiegare Fabio Di Gioia – "Quindi, quando la tecnologia ci aiuta perché non andare a riscoprire certi capolavori, in questo caso ovviamente Van Gogh, ma può essere l’arte antica, possono essere la vita a Pompei, possono essere quelle cose in cui vale la pena ricalarsi per capire di più.
Questa mostra visitata dai ragazzi crea interesse e quindi poi quando si va a visitare il museo di Van Gogh a Amsterdam, o si vede un’opera originale, la si affronta con più consapevolezza, perché qui il visitatore passa in quelle atmosfere”.
Rimane però il dubbio che nel nome degli effetti speciali, della percezione suggestiva, della grande abbuffata di immagini e colori, qualcosa vada perso. Ad esempio, è difficile avvertire l’anima tanto tormentata e cupa dell’artista, travolto da una follia che lo distrusse.
“La positività che queste luci calde trasmettono provengono da un personaggio che aveva dentro di se una vicenda instabile"– conclude il curatore - "Si è discusso sulla sua follia per capire che cosa fosse, probabilmente una somma di lati caratteriali assolutamente imprevedibili, schizofrenici. Quindi, il contrasto è tra quello che si vive come bellezza, sintesi delle atmosfere, e questo tormento interiore penso che nell’esposizione si avverta, noi lo abbiamo avvertito”.
Sicuramente l'essere avvolti da immagini virtuali di grandi dimensioni in alta definizione, provoca un notevole piacere astrattivo, ma bisogna ricordare che l’autentica forza, quella reale, risiede solo nell’originale.
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Fonte:
http://www.repubblica.it/speciali/arte/recensioni/2013/12/08/news/se_van_gogh_diventa_extralarge-73007033/?rss
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